Cervello, sessualità e terapia nella donna

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 05 novembre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

A metà del secolo scorso, i medici che si occupavano di terapia dei disturbi sessuali maschili denunciavano la diffusione di un’erronea visione sottoculturale che concepiva il maschio della specie umana come una sex machine, dalla quale ci si attendeva efficienza assoluta e costante, indipendentemente dalle circostanze e dallo stato funzionale del resto del corpo e del cervello. In particolare, non sono state poche le donne sessuologhe che hanno attribuito a un’arretratezza culturale intrisa di un pregiudizio maschilista questa visione. In modo corretto, si osservava che la sfera sessuale deve essere considerata ed esaminata quale parte della fisiologia e della fisiopatologia di tutto il corpo e, soprattutto, l’analisi del desiderio, della motivazione e dell’attività sessuale del paziente deve essere inquadrata nel suo stato psichico, tenendo conto non solo della sua attualità psicologica, ma anche della sua filosofia di vita, dei suoi sentimenti religiosi e del modo in cui soggettivamente considera e interpreta il suo ruolo sessuale.

Sembrava che l’affermazione di questi principi, in seno alla psichiatria, alla sessuologia e alla cultura, soprattutto nell’arco di tempo che va dagli anni Settanta agli anni Novanta, avesse decretato un progresso dal quale non fosse possibile tornare indietro. Al contrario, oggi si assiste all’affermazione di una sottocultura che ha investito numerosi ambienti clinici di tutto il mondo e che assume, per implicito, nella diagnostica della sessualità femminile quella condannata concezione maschilista di sex machine quale “approdo femminista”, che in realtà concepisce artificiosamente ed erroneamente il desiderio sessuale come un bisogno primario, quale quello alimentare, e suppone ogni donna eleggere a priorità assoluta e scopo principale della vita la soddisfazione in un’attività sessuale che non conosce limiti di età, di equilibrio psico-fisico, di ragionevolezza, di buonsenso, di gusto e di decenza.

Le donne di questo approdo ideologico, originariamente tipico della sottocultura inconsapevolmente individualista e goffamente edonista dei territori del middle mountain, delle sterminate periferie in passato rurali degli Stati meno evoluti degli USA – dove si potevano percorrere miglia e miglia per giorni interi senza mai incontrare qualcuno che avesse letto un libro di filosofia o ispirasse la propria vita ad alti ideali – sono implicitamente considerate e trattate come  “femmine da accoppiamento” costantemente intente a contare il numero di orgasmi, la loro intensità e durata, come indice della propria salute e soddisfazione esistenziale[1]. Tale mortificante concezione della donna è riflessa non solo nell’ideologia esistenziale dei compilatori dei sempre più numerosi di test per la “valutazione dell’orgasmo femminile”, ma anche nella concezione che ispira la pratica clinica della sessuologia della donna, evidente nei paradigmi di interpretazione adottati dagli operatori di ambito psicologico e medico.

Tanto doverosamente premesso, anche per ricordare l’impegno delle donne della nostra società scientifica in primo luogo perché si diffonda una coscienza attiva di questo stato delle cose, soffermiamo qui l’attenzione su alcuni nuovi studi.

Biologicamente l’apparato genitale è una parte del corpo specializzata nella funzione riproduttiva e la reciprocità di influenza con la dimensione mentale del cervello costituisce una risorsa affermatasi nel corso dell’evoluzione al fine della conservazione della specie. La costante stimolazione genitale e ricerca di rapporti sessuali per ottenerne piacere, anche se fa parte di un costume diffuso in tutto il mondo contemporaneo, non ha alcuna base in una necessità biologica dell’individuo: l’accoppiamento soddisfa un bisogno secondario ed evita l’estinzione della specie; tutte le altre pratiche volte a procurare piacere, sfruttando un sostrato fisiologico evoluto in natura per favorire la riproduzione, costituiscono un arbitrio umano, e attualmente una diffusa scelta di costume.

Dunque, alcune sindromi della sessuologia, oggi declinate nosograficamente come “disturbi”, che conferiscono qualità patologica agli stati funzionali che non obbediscono all’attuale modello normotipico di efficienza di risposta dell’organismo all’uso quotidiano dell’eccitabilità, non sono definite su base biologica, ma ideologica.

Questo vale per il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo (HSDD, da hypoactive sexual desire disorder) che, tuttavia, come sintomo può costituire un indice reale di un cambiamento patologico – oltre che fisiologico come accade nell’invecchiamento – nel caso appaia in una donna come mutamento improvviso, o può interessare la psichiatria, quando costituisca una fonte di sofferenza psichica.

Prima di sintetizzare una rassegna che ha fatto il punto sull’efficacia del bremelanotide nel trattamento di questo problema, proponiamo la definizione corrente di HSDD, riportata dagli stessi autori: una persistente deficienza o assenza di fantasie sessuali e desiderio causante distress o difficoltà interpersonale[2].

Amber N. Edinoff e colleghi hanno proposto una rassegna degli studi principali sull’uso terapeutico di questa molecola approvata di recente dalla FDA[3] per il trattamento nella donna di sintomi quali ridotta risposta a stimoli erotici, perdita di interesse durante il rapporto sessuale, mancanza di motivazione all’attività sessuale e tendenza ad evitare circostanze preludenti o favorenti l’intimità fisica.

Il bremelanotide è un peptide dalla formula C50H69N14O10 che agisce legandosi ai recettori della melanocortina[4] e, in termini farmacocinetici, si lega alle proteine per il 21%, è metabolizzato per idrolisi dei legami peptidici, ha un’emivita di eliminazione di 2.7 ore ed è escreto prevalentemente con le urine e solo in parte con le feci. Si somministra per via intranasale o sottocutanea in sede addominale o della coscia e causa, tra gli effetti collaterali più comuni, nausea, cefalea e dolore nella sede di iniezione. Meno frequentemente può causare un temporaneo innalzamento della pressione arteriosa e una riduzione della frequenza cardiaca dopo ogni dose; può dare anche pigmentazione di gengive, viso e seno. Le melanocortine sono neuropeptidi endogeni associati alla via eccitatoria del sistema di risposta agli stimoli sessuali nel cervello femminile.

(Edinoff A. N., et al., Bremelanotide for Treatment of Female Hypoactive Sexual Desire. Neurology International 14 (1): 75-88, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry and Behavioral Medicine, Louisiana State University Health Science Center Shreveport, Shreveport, LA (USA); Shreveport School of Medicine, Louisiana State University, Shreveport, LA (USA); Department of Anesthesiology, Louisiana State University Health Science Center Shreveport, Shreveport, LA (USA); Department of Chemical Biology and Biochemistry, Vanderbilt University, Nashville, TN (USA); Department of Pharmacy Practice, University of the Pacific, Stockton, CA (USA).

Come è facile intuire, sull’esatta eziopatogenesi del disturbo HSDD gravano le ombre della mancanza di dati sperimentali e le incertezze di ipotesi molto generiche, che tirano in ballo squilibri e deficit di steroidi sessuali e neurotrasmettitori quali dopamina, noradrenalina e serotonina.

Il bremelanotide è un agonista non selettivo dei recettori MC che, alle dosi terapeutiche, agisce particolarmente su MC4R, densamente espresso sulle membrane dei neuroni della parte mediale dell’area preottica ipotalamica (mPOA) del cervello femminile, che si attiva nella risposta a stimoli sessuali. Gli studi preclinici suggeriscono che il bremelanotide possa promuovere il desiderio sessuale attivando i recettori MC4 presinaptici dei neuroni della mPOA, i quali accrescerebbero il rilascio di dopamina, responsabile dell’escalation nell’eccitazione[5].

Edinoff e colleghi riportano che gli studi sull’efficacia terapeutica hanno seguito la raccomandazione di un dosaggio di 1.75 mg per iniezione sottocutanea, almeno 45 minuti prima che la donna intraprenda l’attività sessuale, e l’hanno comparata agli effetti di un placebo, rilevando crescita del desiderio di accoppiamento, aumento soggettivo ed obiettivo dell’eccitazione sessuale e genitale, netto incremento dei punteggi ai test sull’orgasmo.

A questo proposito, è interessante notare l’enfasi con cui molti, soprattutto tra le sessuologhe e i sessuologi di lingua inglese, sottolineino l’importanza di avere frequenti e soddisfacenti orgasmi per una buona salute, senza tener conto che dai trattati di fisiologia e patologia su cui si formano i medici in tutto il mondo non si evince affatto questa nozione. È proprio quest’enfasi ad aver attratto l’attenzione su un caso pubblicato di recente, di una donna di 33 anni che ha sviluppato la capacità di indursi l’orgasmo senza stimolazione dei genitali.

Il rapporto sul caso, pubblicato da James G. Pfaus e Karolin Tsarski, nella sua definizione di orgasmo quale riflesso multimodale complesso tipicamente indotto da stimolazione genitale rivela già una visione non biologica della sessualità. Infatti, l’orgasmo è biologicamente un riflesso multimodale complesso naturalmente prodotto dal rapporto sessuale e finalizzato a facilitare la fecondazione attraverso i movimenti ritmici di contrazione che, nel maschio consentono l’emissione a getto del liquido spermatico, e nella femmina favoriscono la risalita del fluido seminale all’interno dell’utero accelerando e accrescendo la probabilità di incontro tra i due gameti. Per Pfaus e Tsarski, invece, il riferimento paradigmatico è l’orgasmo masturbatorio o da accoppiamento deviato dalla funzione riproduttiva naturale e assunto a mezzo di piacere.

(James G. Pfaus & Karolin Tsarski, A Case of Female Orgasm Without Genital Stimulation. Sexual Medicine 10 (2): 100496, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychology and Life Sciences, Charles University, Prague (Repubblica Ceca); Instituto Superior de Estudios Psicologicos, Madrid (Spagna).

L’orgasmo originato dalla stimolazione meccanica dei genitali con la partecipazione di tutti gli altri stimoli percettivi che contribuiscono alla sua evocazione, attiva vie neurochimiche eccitatorie del cervello e del midollo spinale che, infine, determinano un flusso ortosimpatico e l’inibizione dei circuiti parasimpatici spinali attivati in precedenza nel tratto midollare inferiore. Alcune donne dichiarano di avere orgasmi spontanei senza stimolazione vulvovaginale. La donna venuta all’attenzione di Pfaus e Tsarski aveva avuto una formazione tantrica, dopo la quale ha acquisito l’abilità di scatenare la reazione tumultuosa caratterizzante l’acme del piacere con le sole risorse della mente, e ha anche dimostrato di poter controllare con la mente la durata dello stato orgasmico così indotto. Gli autori hanno messo a punto un sistema per confrontare in modo oggettivo l’orgasmo di origine mentale con quello evocato da riflessi genitali, basandosi su misure di parametri quali i livelli ematici di LH, FSH, testosterone libero e prolattina, e hanno poi confrontato questi dati con gli esiti del test di Mah e Binik, Orgasm Rating Scale (ORS). I risultati, e particolarmente l’innalzamento della prolattina post-orgasmica, considerato un marker obiettivo della qualità dell’orgasmo, hanno confermato che il processo “Top-down” originato dal cervello è in grado in questa donna di produrre un orgasmo equivalente a quello prodotto dalla stimolazione locale.

Tornando al ruolo del bremelanotide, e al rischio di un’assunzione massiccia e indiscriminata al di fuori della prescrizione medica, come accaduto tra gli uomini per il Viagra, è opportuno considerare le altre influenze che genera sui circuiti cerebrali e, in special modo, sull’omeostasi alimentare. I primi risultati di una sperimentazione tuttora in corso documentano la sua efficacia nel ridurre il peso delle donne obese.

Lo studio di Carl Spana, Robert Jordan e Steven Fischkoff sugli effetti del bremelanotide nella riduzione del peso corporeo nelle donne obese ha preso le mosse dal ruolo del recettore MC4R nella regolazione dell’appetito e, soprattutto, dal fatto che l’azione agonistica di MC4R promuove la sazietà. Il progetto farmaceutico in cui si iscrive la sperimentazione mira ad ottenere l’indicazione per i trattamenti dimagranti di un farmaco già brevettato.

(Carl Spana, Robert Jordan & Steven Fischkoff, Effect of bremelanotide on body weight of obese women: Data from two phase 1 randomized controlled trials. Diabetes, Obesity & Metabolism 24 (6): 1084-1093, Jun 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Palatin Technologies, Inc., Cranbury, New Jersey (USA); Flame Biosciences, New Hope, Pennsylvania (USA).

Gli autori hanno condotto due studi clinici randomizzati controllati su donne volontarie per esaminare gli effetti del bremelanotide sulle calorie assunte e sul peso corporeo. Entrambi i trials, ma particolarmente il primo, ha fornito dati incoraggianti sull’efficacia del legame al recettore MC4R dei neuroni ipotalamici nel ridurre l’assunzione di cibo e il peso corporeo.

Di passaggio, possiamo osservare che questo effetto comporta la controindicazione per l’incremento dell’eccitabilità e del desiderio sessuale nelle donne anoressiche e in quelle spesso inappetenti e tendenti all’anoressia.

Un problema, che sembra essere ignorato dalla cultura medica, consiste nel fatto che il modello funzionale del corpo come sex machine, un tempo appannaggio delle aberrazioni di degrado nate nelle aree sottosviluppate dove il porno costituisce la forma di spettacolo, divertimento e modello più diffusa, è stato assunto da una parte considerevole dei sessuologi americani e asiatici, con influenze ormai globali[6]. Una conseguenza dell’assunzione di questo modello sottoculturale che separa la funzione sessuale dalla fisiologia dell’organismo è l’isolamento di espressioni funzionali – come l’orgasmo – dal contesto naturale e il conferimento di senso in rapporto al modello ideologico della sessualità quale mezzo per produrre costantemente piacere.

L’orgasmo non ha un senso biologico indipendente, ma è parte della funzione di copulazione, il cui profilo è stato tracciato in milioni di anni di evoluzione animale e la cui ratio si inquadra nell’insieme dei processi che consentono l’efficacia dell’accoppiamento. Come opportunamente ha ricordato a questo proposito la nostra collega Diane Richmond, il ragionamento del medico, prima di passare a specifici accertamenti diagnostici, è il seguente: nella mia paziente sono nella norma per età e stato dell’organismo tutti i parametri che consentono la preparazione e l’espletamento della funzione copulativa? Se la risposta è negativa si indaga, secondo i protocolli diagnostici, a partire dal parametro alterato e, analizzando quanto espone la paziente, si cerca di capire se il difetto lamentato è realmente un deficit in termini di funzione o non è piuttosto la mancata rispondenza del proprio organismo al modello di esuberanza erotica proposto dai media come se fosse la norma.

Viviamo in una realtà in cui una percentuale molto elevata di donne si rivolge al chirurgo estetico per avere un seno o delle natiche sexy e concepisce la medicina non come una pratica scientifica finalizzata a ripristinare la salute compromessa dalla malattia, ma come uno strumento sociale per la soddisfazione di desideri individuali. Non sorprende che in questa realtà, in cui i sessuologi misurano con serietà e rigore la prestazione multiorgasmica masturbatoria, l’automedicazione con bremelanotide possa diventare un abuso farmacologico potenzialmente in grado di causare disturbi alimentari, neuroendocrini, metabolici e cutanei.

Concludendo, si vuole ricordare che il riferimento culturale della pratica medica è – e deve essere – il suo fondamento scientifico, in primo luogo biologico; a fondare altrove il soggetto umano come essere vivente, anche in una ideologia sottoculturale, può pensarvi ciascuno, se lo desidera, secondo il proprio libero arbitrio nella propria vita, assumendosene la responsabilità individuale e sociale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-05 novembre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] La documentazione per questo giudizio è stata fornita da Diane Richmond.

[2] Le fantasie sessuali, qui considerate alla stregua di un indice di funzionalità epatica o renale, sono in realtà espressione di una concezione che considera i rapporti sessuali una parte generica dei rapporti umani in una società esasperatamente erotizzata. Le fantasie sessuali sono pressoché assenti presso la maggior parte delle persone che aderiscono con convinzione a una delle grandi religioni monoteiste.

[3] L’approvazione FDA del bremelanotide per il trattamento del HSDD negli USA risale al 2019.

[4] Sono cinque recettori (7TM accoppiati a proteine G), da MC1R a MC5R; MC2R è in realtà il recettore specifico per l’ACTH; MC4R è importante per il legame col bremelanotide ed è noto perché i suoi difetti sono all’origine di un’obesità autosomica dominante responsabile del 6% di tutti i casi ad esordio precoce. MC4R sembra essere il più importante per la funzione sessuale femminile ed è prevalentemente espresso nell’area preottica.

[5] James G. Pfaus, et al. The neurobiology of bremelanotide for the treatment of hypoactive sexual desire disorder in premenopausal women. CNS Spectrums 27 (3): 281-289, June 2022.

[6] Ormai da decenni, canali televisivi americani, asiatici, ma in misura minore in tutto il resto del mondo, trasmettono programmi e corsi pratici, realizzati con la collaborazione tra sessuologi e attori e attrici del cinema porno, per imparare a trovare il “punto G” evocatore dell’orgasmo vaginale, apprendere le tecniche di rubbing clitorideo, sapere usare strumenti elettronici di masturbazione e acquisire tecniche per pratiche sessuali varie.